11/03/16

Perché Blackstar è il testamento artistico di David Bowie

Alla fine ci ha lasciati nel modo peggiore, tra lo stupore e lo sconforto.

Il 10 Gennaio di quest’anno, due giorni dopo il suo 69° compleanno e l’uscita del suo ultimo album, Blackstar, il mondo apprende la notizia della scomparsa di David Bowie, emblema del rock progressivo e sperimentale, nonché tra gli inventori di un genere, il Glam Rock. Causa: cancro al pancreas, che si protraeva già da un anno e mezzo, tenuto nascosto ai fan e noto solo ai più stretti collaboratori. 
Sulla scena musicale a partire già dagli anni settanta, artista eclettico e camaleontico, Bowie ha saputo trasformarsi e reinventarsi in ogni occasione, nel sound e nello stile, diventando un punto di riferimento per molti artisti del rock e del pop contemporaneo.

Il progetto di Blackstar, venticinquesimo album in studio del cantante britannico, nasce dalla collaborazione con il suo storico produttore, Tony Visconti, e viene pubblicato dalla Columbia Records, ottenendo fin da subito un ottimo riscontro commerciale, quindi già prima della sua morte. Un capolavoro che ha tutte le sembianze di un’avanguardia, ricco di incontri tra il jazz, il fusion e l’Art Rock e di un esasperato sperimentalismo che solo il Duca Bianco può vantare di avere avuto. Ma Blackstar colpisce soprattutto perché in esso è stato visto un evidente messaggio di addio (o di arrivederci) che Bowie ha lasciato ai suoi fan, un testamento artistico costruito attraverso un’architettura complessa e surreale. Poteva essere un album auto celebrativo, ma non è stato così: il cantante di Starman, probabilmente consapevole della sua imminente dipartita, è come se avesse voluto “esorcizzare” la malattia e la morte, trasformandole in arte, la stessa arte a cui ha dedicato tutta l’esistenza. Sommando poi il tutto alla bizzarria dall’arte contemporanea e ad una drammaticità degna di Shakespeare, il prodotto è dei migliori in circolazione.

Partiamo dalla copertina del disco: al centro, una semplice stella nera su un fondo bianco; in basso, sei segmenti della stessa stella che formano la scritta stilizzata “Bowie”. Chiarito il significato simbolico della copertina, concentriamoci sulla parte “visiva” dell’album, ovvero sui due video dei singoli estratti: Blackstar e Lazarus. Il primo può essere definito quasi un cortometraggio, della durata di 10 minuti spaccati, denso di simbolismo prevalentemente esoterico e immerso in un’atmosfera onirica, tetra, in un luogo lontano dalla Terra. Il tutto si presta quindi ad un’interpretazione che risulta, a tratti, difficile, ma che rimane comunque personale, poiché sia Bowie che i produttori hanno preferito che ognuno di noi potesse guardare le cose da un suo punto di vista.






La canzone si apre con la frase “In the villa of Ormen stands a solitary candle“, dove Ormen è una cittadina norvegese e il suo significato è “serpente“. Il serpente è il simbolo del male ma anche della rinascita. La candela, la cui fiamma svetta su un cumulo di cera, indicando che sta bruciando da molto tempo, rappresenta la speranza e la fede, ma anche il simbolo di chi lotta da solo: molti hanno visto in ciò un riferimento all’Isis, poi smentito. Il video, invece, inizia con l’immagine del corpo di un astronauta morto, forse Major Tom, il protagonista di Space Oddity, nota canzone di Bowie. E mentre il suo scheletro va alla deriva nello Spazio, verso il Sole, oscurato da un’eclissi, il cranio intriso di gemme viene prelevato da una ragazza con la coda, indicante la sua natura non terrestre, che dà così inizio ad un rituale, incamminandosi per le strade deserte di una città dall’architettura arabeggiante, verso un castello che ricorda quello del film “Labyrinth”.

Cambio di sequenza: una villa dove Bowie, un ragazzo albino, un ragazzo nero e una donna si muovono come ipnotizzati o posseduti. Nel video l’artista interpreta differenti personaggi: il cieco dagli “Occhi a bottone” e il sacerdote che mostra il libro con il simbolo della stella nera in copertina. I bottoni sugli occhi sono il simbolo dell’ostacolo a vedere la realtà e cadono solo nel momento in cui essa viene vista oggettivamente, perciò rappresentano la scelta di non vedere la completezza della realtà che ci circonda. Il sacerdote dagli occhi aperti ha raggiunto l’Illuminazione attraverso il libro: la Stella Nera. Si passa così ad una nuova sequenza: tre spaventapasseri crocifissi che potrebbero rappresentare il Golgota. Anche loro hanno bottoni al posto degli occhi: solo attraverso il dolore giungeranno all’Illuminazione. Appare un mostro senza volto che si avvicina ai tre spaventapasseri crocifissi. Il mostro afferra la gamba di una delle vittime, le cui urla si fanno disumane. La narrazione raggiunge il culmine con il rituale in cui la sacerdotessa tiene in mano il cranio precedentemente prelevato. I movimenti spasmodici delle altre donne, che le fanno sembrare possedute, richiamano le altre sequenze del cortometraggio. La ripetizione degli stessi gesti è una metafora dei rituali religiosi, in cui essi vengono ripetuti all’infinito perdendo di significato nel tempo.

Nell’ultimo fotogramma, la stella nera viene spezzata in più parti; musicalmente, la canzone contrappone una netta distinzione tra influenze occidentali e orientali. Le frasi “I’m a blackstar“, “I’m not a filmstar” richiamano ancora una volta la carriera di Bowie, che si scaglia contro lo star-system. Come si può notare, il video, estremamente complesso, permette di scendere ancora di più nel dettaglio e di dare slancio a nuove e libere interpretazioni.

In Lazarus, il secondo singolo estratto, Bowie è l’unico protagonista, visibilmente malato e stanco, disteso su un letto in uno squallido ambiente ospedaliero. Il cantante ha ancora gli occhi coperti con i due bottoni, si contorce e appare sofferente, sfinito. Allo stesso tempo si apre un altro piano narrativo, in cui Bowie sta riflettendo su cosa scrivere in quello che potrebbe essere un eventuale testamento. Il video si chiude con il cantante che entra in un armadio, simbolo di ciò che è nascosto e ben conservato. Con questo gesto l’artista sembra voler presagire la voglia di scomparire davanti a questa dura prova.

Ed è così che se ne va David Bowie, uno dei pochi che da decenni si distingueva sulla scena musicale, da cui non si sapeva mai cosa aspettarsi di nuovo.

Un precursore, un visionario, l’uomo “venuto dalle stelle”, che alle stelle è ritornato!

- Michelangelo Maiellaro

1 commento:

  1. Una delle migliori recensioni mai lette in vita mia. Complimenti davvero.

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