19/03/16

Buon compleanno, Italia!

Oggi, giovedì 17 marzo, si festeggia il compleanno dell’Italia poiché proprio oggi, 155 anni fa, fu proclamata ufficialmente la nascita del Regno d’Italia.
All’indomani della seconda guerra d’Indipendenza, conclusasi con l’armistizio di Villafranca l’11 luglio 1859, grazie al quale il Regno di Sardegna ottenne l’annessione della sola Lombardia, e dopo la “Spedizione dei Mille”, avvenuta nel biennio 1859 – 1860, il 18 febbraio 1861 si riunì presso palazzo Carignano a Torino il primo Parlamento italiano. La sua nascita fu ufficializzata proprio il giorno 17 marzo 1861 dall’allora presidente del consiglio Camillo Benso, conte di Cavour. Egli presentò un progetto di legge formato da una sola norma la quale recitava così: “Il Re Vittorio Emanuele II assume per sé e suoi successori il titolo di Re d’Italia”. Si poteva dire, quindi, ufficialmente nata l’Italia.


Il 18 febbraio, giorno in cui si riunì il primo Parlamento italiano, il re pronuncia alle camere riunite in seduta comune il “Discorso di apertura del Parlamento italiano”. Questo documento ha una importanza storica fondamentale, perché in poche parole il re riesce a ripercorrere la storia del Risorgimento italiano (che ancora si doveva concludere poiché mancavano all’appello ancora il Lazio e il Triveneto) e a ringraziare tutti quei patrioti che avevano dato la vita pur di vedere l’Italia unita. Commentiamolo.


DISCORSO

DELLA CORONA


PER L’APERTURA DEL PARLAMENTO ITALIANO

18 FEBBRAIO 1861

Signori Senatori! Signori Deputati!
Libera ed unita quasi tutta, per mirabile aiuto della divina Provvidenza, per la concorde volontà dei popoli, e per lo splendido valore degli eserciti, l’Italia confida nella virtù e nella sapienza vostra.

A voi si appartiene il darle istituti comuni e stabile assetto. Nello attribuire le maggiori libertà amministrative a popoli che ebbero consuetudini ed ordini diversi veglierete perchè l’unità politica, sospiro di tanti secoli, non possa mai essere menomata.

L’opinione delle genti civili ci è propizia; ci sono propizi gli equi e liberali principii che vanno prevalendo nei Consigli d’Europa. L’Italia diventerà per essa una guarentigia di ordine e di pace, e ritornerà efficace stromento della civiltà universale.

L’Imperatore dei Francesi, mantenendo fermo la massima del non-intervento, a noi sommamente benefica, stimò tuttavia di richiamare il suo inviato. Se questo fatto ci fu cagione di rammarico, esso non alterò i sentimenti della nostra gratitudine, nè la fiducia nel suo affetto alla causa italiana.
La Francia e l’Italia, che ebbero comune la stirpe, le tradizioni, il costume, strinsero sui campi di Magenta e di Solferino un nodo che sarà indissolubile.

Il Governo ed il Popolo d’Inghilterra, patria antica della libertà, affermarono altamente il nostro diritto ad essere arbitri delle proprie sorti, e ci furono larghi di confortevoli uffici, dei quali durerà imperitura la riconoscente memoria.

Salito sul trono di Prussia un leale ed illustre Principe, gli mandai un ambasciatore a segno di onoranza verso di lui e di simpatia verso la nobile Nazione germanica, la quale, io
spero, verrà sempre più nella persuasione che l’Italia costituita nella sua unità naturale non può offendere i diritti nè gli interessi delle altre nazioni.

Signori Senatori! Signori Deputati!

Io son certo che vi farete solleciti a fornire al mio Governo i modi di compiere gli armamenti di terra e di mare. Così il regno d’Italia, posto in condizione di non temere offese, troverà più facilmente nella coscienza delle proprie forze la ragione dell’opportuna prudenza.

Altra volta la mia parola suonò ardimentosa, essendo savio così lo osare a tempo, come lo attendere a tempo. Devoto all’Italia, non ho mai esitato a porre a cimento la vita e la corona; ma nissuno ha il diritto di cimentare la vita e le sorti di una Nazione.

Dopo molte e segnalate vittorie, l’Esercito italiano, crescente ogni giorno in fama, conseguiva nuovo titolo di gloria espugnando una fortezza delle più formidabili. Mi consolo nel pensiero che là si chiudeva per sempre la serie dolorosa dei nostri conflitti civili.

L’armata navale ha dimostrato nelle acque di Ancona e di Gaeta che rivivono in Italia i marinari di Pisa, di Genova e di Venezia.

Una valente gioventù, condotta da un Capitano che riempì del suo nome le più lontane contrade, fece manifesto che nè la servitù, nè le lunghe sventure valsero a snervare la fibra dei popoli italiani.
Questi fatti hanno inspirato alla Nazione una grande confidenza nei proprii destini. Mi compiaccio di manifestare al primo Parlamento d’Italia la gioia che ne sente il mio animo di Re e di Soldato.

Sessione del 1861  Documenti — Vol. I

Nella prima parte (1-3) il re annuncia l’unità Italiana avvenuta con l’aiuto della “Provvidenza Divina” e affida al parlamento il compito di conferire al nuovo stato istituzioni e assetto stabili per rendere l’Italia “garanzia di pace e serenità ed esempio per tutti i popoli del mondo”, auspicando addirittura un decentramento ante litteram amministrativo che non verrà realizzato de facto.
Nella seconda parte (4-7) egli ricorda e ringrazia tutte le alleanze fatte e che erano in procinto di essere realizzate durante le battaglie risorgimentali: in primis con Napoleone III nel 1858 grazie agli accordi segreti di Plombieres, il cui intervento fu epocale durante la II guerra d’Indipendenza. Inoltre il sovrano mostra un’esplicita simpatia verso la Prussia definendola “Nobile”; questo è già un preludio verso quella che sarà la Terza guerra d’Indipendenza nel 1866 con la quale, grazie all’aiuto di Otto von Bismarck, riusciremo a togliere all’Impero Austriaco, dopo labattaglia di Sadowa, il Veneto che sarà ceduto dall’Austria prima a Napoleone III e poi all’Italia.

Nella parte conclusiva il re ringrazia tutto l’esercito italiano per l’acceso patriottismo, per l’ardore e per le abilità possedute. Ringrazia inoltre la marina militare italiana che aveva dimostrato di essere all’altezza anche nelle battaglie marine più difficili quali la battaglia di Gaeta durante la spedizione dei Mille, definendola quasi degna erede delle Repubbliche Marinare. Ringrazia, inoltre, ma in modo più implicito, tutti i generali italiani, in primis Giuseppe Garibaldi che guidò la spedizione dei Mille e non solo. Il re conclude il suo discorso esprimendo il suo compiacimento e la sua gioia verso una nazione ormai unificata in nome di “Re e Soldato”.

Ritratto del Re


Concludendo, non c’è necessità di fare altre considerazioni intorno a questo discorso poiché “parla da solo” ed è chiaro già così come esso è stato pronunciato dal re. Esso può essere considerato il primo messaggio al popolo italiano che, però, è ancora da farsi… 
                           
- Francesco Sorgente

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