Ogni giorno siamo connessi ad una fitta rete di
informazioni, le quali permeano la nostra vita anche quando non possiamo
accorgercene. Il semplice utilizzo di uno smartphone o di un computer permette di connetterci con un’infinità di persone e
servizi.
Secondo le statistiche, circa un terzo della
popolazione mondiale è connessa ad internet, mentre il 25% circa degli abitanti
del pianeta possiede un account social.
Nel nostro paese gli utenti attivi sui social sono
circa il 40% della popolazione, i quali passano mediamente 2 ore e mezza su
questi ultimi. Per quanto riguarda il tempo passato su internet si passa ad una
media giornaliera di 4 ore e mezza.
Il panorama dell’utilizzo dei social media da qualche anno si è stabilizzato, come
stabilisce l’analisi della Total Digital Audience ( il numero di persone che
accedono a servizi social)
Come è evidente dal grafico, Facebook rimane la
piattaforma più utilizzata, seguita da Google+ e da social come Twitter,
Instagram, Tumblr ect…
Un utilizzo così vasto di questi mezzi di
comunicazione porta una rapida diffusione di informazioni. Ultimamente,
inoltre, abbiamo visto come dai social network possano generarsi fenomeni virali
, i quali però hanno spesso vita breve e finiscono solo per essere delle mode
che in breve tempo vanno nel dimenticatoio.
Nell’ultimo anno abbiamo visto praticamente
qualsiasi contenuto raggiungere la nostra bacheca, ma una domanda sorge
spontanea: come fa un prodotto a diventare “virale”?
Il matematico Sharad Goel ed il suo team spiegano
che “virale” non significa necessariamente “popolare”. Questo perché il
fenomeno virale non passa attraverso grandi mezzi di informazione come giornali
importanti o simili, ma si diffonde attraverso una rete fatta di persone.
Questo meccanismo viene definito “viralità strutturale” che può essere misurata calcolando le
distanze tra coppie di eventi condivisi immaginando una scala a forma di
albero: nei livelli più bassi eventi vicini, provenienti dalla stessa fonte, in
alto invece, e più distanti, gli eventi che invece sono dovuti a passaggi da
persona a persona, indipendentemente se questi ultimi avvengono direttamente o
tramite social.
Esempio lampante del meccanismo è il celebre caso
del vestito blu e nero, o bianco ed oro, conosciuto come The Dress.
La questione in particolare riguarda il colore del
vestito, che sembra cambiare con il variare della luminosità o dell’ambiente
nel quale guardiamo l’immagine. L’immagine,
non progettata per essere un’illusione ottica, ha visto una diffusione globale.
Questo dimostra che il contenuto si è diffuso di persona in persona, suscitando
la curiosità degli utenti.
Ciò dimostra anche che un fenomeno virale non
necessariamente nasce come tale; può infatti anche essere pensato per diffondersi
rapidamente ed avere successo, ma questo non basta , quasi sempre serve una
buona dose di fortuna.
A proposito di fortuna, non possiamo non nominare il
divertente video che nell’ultimo anno ha intasato le pagine web e social. “Sono
giapponese” esclama il ragazzo asiatico con la maglia del Napoli alla domanda
dell’intervistatore riguardo i miracoli di San Gennaro. Il giovane, ignaro della sua popolarità, ha
raggiunto la vetta dei tormentoni di Facebook
Insieme al giapponese trovano spazio anche le
divertenti Gif su Drake, Jhon Travolta, Lorenzo e Marquez o la divertente
risposta di Miss Italia 2015, più conosciuta come “Nel 1942, al tempo della
guerra. Tanto io sono donna e sarei stata a casa”.
- Michele Citro
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