“Dall'Alpe a Sicilia dovunque è Legnano;
ogn’uom di Ferruccio ha il core e la mano;
I bimbi d'Italia si chiaman Balilla;
il suon d'ogni squilla i Vespri suonò.”
I bimbi d'Italia si chiaman Balilla;
il suon d'ogni squilla i Vespri suonò.”
Recita così
la quarta strofa del “Canto degli Italiani”, citando alcuni eventi storici
accaduti nella nostra penisola che, in ottica risorgimentale, rappresentano
momenti di indipendenza del popolo nostro dagli stranieri.
Oggi
focalizzeremo la nostra attenzione su un evento in particolare, in quanto ieri
se ne celebrava la ricorrenza: i Vespri siciliani.
Essi sono, in sostanza, una
rivolta del popolo siciliano contro l’eccessivo prelievo fiscale voluto da
Carlo I d’Angiò. Scopriamo ora le cause e le conseguenze di questa rivolta. Nel
1250 con la morte del Sacro Romano Imperatore Federico II di Svevia –
Hohenstaufen si aprirono 23 anni di interregno nell’Impero. Egli, comunque,
lasciò come erede al trono imperiale suo figlio Corrado IV e designò erede del
trono siciliano suo figlio Manfredi. Quest’ultimo era de iure, solo un reggente, perché de facto il vero re era Corradino di Svevia ma, poiché Corrado IV
morì prematuramente e Corradino era ancora molto piccolo, Manfredi riuscì a
diffondere la falsa notizia della morte di Corradino e si fece incoronare re di
Sicilia. Manfredi durante gli anni del suo regno diede adito a tutte le forze
ghibelline della penisola, alleandosi con il senese Farinata degli Uberti, e
affrontò Firenze, alleata con le forze guelfe, nella battaglia di Montaperti
nel 1260. L’allora papa Urbano IV, preoccupato e quasi urtato sia dalle
vittorie ghibelline sia dalla politica condotta da Manfredi, decise di
scomunicare Manfredi e di offrire la corona di Sicilia a Carlo I d’Angi,ò
fratello del re di Francia Luigi IX il Santo (tale accordo fu rafforzato dal
successore di Urbano IV, Clemente IV). Manfredi non si perse d’animo e decise
di affrontare Carlo. Fu sconfitto, però, e ucciso nella celeberrima battaglia
di Benevento, nel 1266. Sembrava, quindi, che Carlo I avesse conquistato la
corona siciliana, ma non fu così perché il “legittimo” re di Sicilia Corradino,
che si credeva morto, decise di rimpossessarsi della sua altrettanto legittima
corona, salvo essere sconfitto nella Battaglia di Tagliacozzo nel 1268. Carlo
d’Angiò ora era a tutti gli effetti re di Sicilia.
A questo
punto, però, cominciano i problemi. Carlo I non era di certo un sovrano mite:
impose un gravoso prelievo fiscale ai danni del popolo siciliano e furono tante
le proteste per questo motivo. Inoltre, egli non risiedeva a Napoli bensì in
Anjou e soventemente affidava il governo ed il controllo fiscale ai baroni del
regno che di certo non si comportavano in modo lecito. Ad un certo punto il re
d’Aragona Pietro III Trastamara voleva la corona di Sicilia, in quanto aveva
sposato Costanza, figlia di Manfredi.
Ed ora l’evento
principale: il giorno 30 marzo dell’anno 1282, all’ora del vespro, davanti alla
chiesa del Santo Spirito a Palermo (chiamata poi chiesa del Vespro) un soldato
francese di nome Droetto si comportò in maniera irriguardosa nei confronti di
una giovane nobildonna siciliana. Il popolo, ormai stanco di queste usurpazioni
da parte dei francesi, uccise Droetto, gridò morte a Carlo d’Angiò e appoggiò
le pretese della corona da parte di Pietro III. Ormai tra Aragonesi ed Angioini
era guerra. Questa guerra terminò nel 1302, grazie all’intervento di papa
Bonifacio VIII, per mezzo della pace di Caltabellotta che sancì la rottura del
Regno di Sicilia Normanno – Svevo in Regno di Napoli (detto anche “Regno di
Sicilia superiore”) che fu affidato a Roberto d’Angiò, fratello di Carlo, e
Regno di Sicilia (chiamato anche “Regno di Trinacria” o “Regno di Sicilia
inferiore”) che fu dato a Ferdinando d’Aragona. La guerra però non era del
tutto finita perché la pace sanciva che, dopo la morte del re di Sicilia
aragonese, il regno doveva ritornare nelle mani degli Angioini ma non fu così.
Solo nel 1442 Alfonso V Trastamara, re d’Aragona, riuscirà, al contrario, a
togliere il regno di Napoli dalle mani angioine. L’episodio dei vespri è citato
anche da Dante nella Divina Commedia:
«…se mala signoria, che sempre accora,
li populi suggetti, non avesse
mosso Palermo a gridar: “Mora, mora!”». (Pd VIII 73 - 75)
Concludendo,
questo è un episodio importantissimo della storia italiana perché, secondo
molti storici, rappresenta uno dei primi esempi di un popolo che, scagliandosi
contro il sovrano, voleva conquistare il rispetto dei propri diritti e il
riconoscimento del principio di autodeterminazione
- Francesco
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