Tutto comincia
un quarto di secolo fa, il 17 febbraio 1992. Gli anni della “Milano da
bere”, degli anni ruggenti, dei socialisti rampanti che a Milano comandano e
impongono i loro sindaci sotto l’ala protettrice di Bettino Craxi, potente
membro del Caf (il patto del triumvirato Craxi, Forlani e Andreotti che ha il
potere in Italia). A Palazzo Marino il socialista Giampiero Borghini si è
appena avvicendato col socialista Paolo Pillitteri, cognato di Bettino.
Quella mattina
una vettura col lampeggiante azzurro si ferma davanti al Pio Albergo Trivulzio,
la casa di riposo più nota di Milano, e preleva il suo “dominus”, l’ingegner
Mario Chiesa. L’ingegnere è un socialista emergente, di lui si parla già come
futuro sindaco di Milano. Ha una parlata ruvida, un tipo pragmatico che va per
le spicce.
Lo pescano che
ha appena intascato una tangente di sette milioni di lire (la metà della somma
pattuita) versata da un piccolo imprenditore monzese di un’impresa di pulizie,
Luca Magni, che come molti altri fornitori deve versare il suo “obolo del 10
per cento”. A Milano, se vuoi lavorare con la pubblica amministrazione, va
così. In realtà quella mazzetta è una trappola della Procura di Milano: i soldi
sono “segnati” e servono come prova del fatto che il presidente del Trivulzio
prende soldi per concedere appalti.
A guidare il
pool c’è un pubblico ministero di 46 anni di origini molisane proveniente da
Bergamo, Antonio Di Pietro, ex commissario di polizia, erx lavoratore in
Germania, ex amministratore di condominio, ex un sacco di cose. Il magistrato
chiede e ottiene dal giudice per le indagini preliminari Italo Ghitti un ordine
di custodia cautelare. Craxi, il segretario del Psi, impegnato nelle elezioni
politiche di primavera, si dissocia definendolo “un mariuolo” che getta
discredito sul suo partito. Ma il sasso ormai aveva cominciato a rotolare. Come
nella favola del re nudo, Di Pietro rende visibile un sistema che chiamerà
“dazione ambientale”. Per sintetizzare: nessuno chiede e nessuno offre. E’ un fatto automatico.
E’ l’inizio di Tangentopoli, la valanga
giudiziaria che avrebbe seppellito in pochi mesi la Prima Repubblica. I partiti “storici” sarebbero crollati come
un castello di carte sotto i colpi degli avvisi di garanzia dilagati in tutta
Italia.
“Avvocato,
riferisca al suo cliente che l’acqua minerale è finita”, dirà Di Pietro al
legale di Chiesa. Nell’indagine sull’ingegnere l’ex commissario di polizia
divenuto magistrato aveva scoperto e sequestrato due conti svizzeri, denominati
“Levissima” e “Fiuggi”. A quel punto Chiesa, “sgamato”, come si dice a
Milano, comincia a parlare, coinvolgendo
la rete di un sistema di corruzione e concussione che si allarga a macchia d’olio
coinvolgendo amministratori locali, deputati, politici di altissimo rango,
pubblici funzionari “grand commis” degli enti pubblici, imprenditori.
La mole di
lavoro in procura è tale che il procuratore di Milano Francesco Saverio
Borrelli costituisce un pool, passato alla storia come il pool Mani Pulite. I
suoi componenti, tra alterne vicende, sono entrati nella storia: i principali,
indiscussi, furono Antonio Di Pietro, Gherardo Colombo e Piercamillo Davigo.
Divennero degli eroi popolari, osannati in tutto il Paese.
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