26/05/16

Il dono... Atto d'amore o d'egoismo?

Donare: dare spontaneamente qualcosa a qualcuno senza compenso. Ma cosa significa propriamente “donare”?

Tra coloro che hanno cercato di risolvere questo interrogativo ci troviamo scrittori e filosofi di tutti i tempi ma ancora oggi il significato di questa parola non è chiaro a tutti.


Prima di tutto occorre distinguere il <<dare>> dal <<donare>>: << nel dare c’è la vendita, lo scambio, il prestito; nel donare c’è un soggetto, il donatore che nella libertà, non costretto, e per generosità, per amore, fa un dono all’altro>> (Enzo Bianchi, Dono). L’azione di donare, quindi, presuppone che ci siano due identità, il donatore e il destinatario, e che esse siano in contatto. Lo scambio di doni favorisce la creazione di una sorta di legame empatico: colui che dona si immedesima nell’altro e cerca di percepire i desideri e le aspettative.

Dalle origini della civiltà umana il dono ha sempre avuto un’importanza rilevante in quanto si credeva fosse alla base di ogni relazione interpersonale. Basti pensare alla religione cristiana secondo cui Dio ci ha donato la grazia, ovvero la possibilità di redimerci dai nostri peccati. A detta di alcuni però il dono di Dio non è stato poi così piacevole: esso, secondo Bianchi può <<essere presentato come una cattura dell’uomo […] che incute paura e infonde sensi di colpa>>.
Nella società odierna, una società capitalistica in cui l’uomo può procurarsi tutto ciò di cui ha bisogno con il denaro, il dono ha perso il suo valore. In un tempo non molto lontano solamente il pensiero di ricevere un dono era causa di trepidazione. L’immaginazione, in particolare quella dei bambini, veniva stuzzicata e questi, in attesa del regalo promesso, sognavano letteralmente ad occhi aperti.
Il dono viene collegato, dunque, all’ambito dell’infanzia e la scrittrice Grazia Daledda, nella novella Il dono di Natale, ce ne fornisce un esempio: in un mondo di contadini il protagonista è portato a fare i conti con la condivisione quotidianamente.
Ma torniamo ai nostri giorni. Il dono risulta, quasi sempre, svuotato del suo significato. Ciò che rimane è un semplice oggetto, magari acquistato in fretta in uno squallido negozio di periferia che finirà per diventare uno dei tanti soprammobili impolverati o per essere dimenticato in un cassetto: << Nel migliore dei casi uno regala ciò che desidererebbe di per sé, ma di qualità leggermente inferiore>> (Adorno, Minima moralia).
Più rare sono le situazioni in cui si decide di fare un regalo considerando colui che ci sta di fronte come un “soggetto”: è in questo caso che si crea l’empatia che ci permette di abbandonare il nostro modo di pensare, di uscire fuori dagli schemi, di impiegare tempo affinché venga scelto non il regalo migliore ma quello più appropriato.
Nell’era consumistica che stiamo vivendo ritengo che il miglior regalo che si possa fare non sia materiale. La felicità che si prova nel donare un abbraccio, una parola di conforto, un semplice gesto o un bacio è inappagabile sia per colui che da che per colui che riceve. Si tratta di una felicità autentica che non ha niente a che fare con essere appagato dopo l’acquisto di una nuova auto o dell’ultimo Iphone messo in commercio.
Donare significa essere pronti a correre dei rischi perché un qualsiasi regalo può essere rifiutato nella totale indifferenza, ma chi è veramente disposto a mettere da parte se stesso e compiere un gesto d’amore verso il prossimo senza nessun secondo fine?


 Maria Giordano

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