Donare: dare
spontaneamente qualcosa a qualcuno senza compenso. Ma cosa significa
propriamente “donare”?
Tra coloro che hanno
cercato di risolvere questo interrogativo ci troviamo scrittori e filosofi di
tutti i tempi ma ancora oggi il significato di questa parola non è chiaro a
tutti.
Prima di tutto occorre
distinguere il <<dare>> dal <<donare>>: << nel dare c’è la vendita, lo scambio, il prestito;
nel donare c’è un soggetto, il donatore che nella libertà, non costretto, e per
generosità, per amore, fa un dono all’altro>> (Enzo Bianchi, Dono). L’azione di donare, quindi,
presuppone che ci siano due identità, il donatore e il destinatario, e che esse
siano in contatto. Lo scambio di doni favorisce la creazione di una sorta di
legame empatico: colui che dona si immedesima nell’altro e cerca di percepire i
desideri e le aspettative.
Dalle origini della
civiltà umana il dono ha sempre avuto un’importanza rilevante in quanto si
credeva fosse alla base di ogni relazione interpersonale. Basti pensare alla
religione cristiana secondo cui Dio ci ha donato la grazia, ovvero la
possibilità di redimerci dai nostri peccati. A detta di alcuni però il dono di
Dio non è stato poi così piacevole: esso, secondo Bianchi può <<essere presentato come una cattura dell’uomo […] che
incute paura e infonde sensi di colpa>>.
Nella società odierna,
una società capitalistica in cui l’uomo può procurarsi tutto ciò di cui ha
bisogno con il denaro, il dono ha perso il suo valore. In un tempo non molto lontano
solamente il pensiero di ricevere un dono era causa di trepidazione.
L’immaginazione, in particolare quella dei bambini, veniva stuzzicata e questi,
in attesa del regalo promesso, sognavano letteralmente ad occhi aperti.
Il dono viene
collegato, dunque, all’ambito dell’infanzia e la scrittrice Grazia Daledda,
nella novella Il dono di Natale, ce
ne fornisce un esempio: in un mondo di contadini il protagonista è portato a
fare i conti con la condivisione quotidianamente.
Ma torniamo ai nostri
giorni. Il dono risulta, quasi sempre, svuotato del suo significato. Ciò che
rimane è un semplice oggetto, magari acquistato in fretta in uno squallido
negozio di periferia che finirà per diventare uno dei tanti soprammobili
impolverati o per essere dimenticato in un cassetto: << Nel migliore dei casi uno regala ciò che
desidererebbe di per sé, ma di qualità leggermente inferiore>> (Adorno, Minima moralia).
Più rare sono le
situazioni in cui si decide di fare un regalo considerando colui che ci sta di
fronte come un “soggetto”: è in questo caso che si crea l’empatia che ci
permette di abbandonare il nostro modo di pensare, di uscire fuori dagli
schemi, di impiegare tempo affinché venga scelto non il regalo migliore ma
quello più appropriato.
Nell’era consumistica
che stiamo vivendo ritengo che il miglior regalo che si possa fare non sia
materiale. La felicità che si prova nel donare un abbraccio, una parola di
conforto, un semplice gesto o un bacio è inappagabile sia per colui che da che
per colui che riceve. Si tratta di una felicità autentica che non ha niente a
che fare con essere appagato dopo l’acquisto di una nuova auto o dell’ultimo
Iphone messo in commercio.
Donare significa essere
pronti a correre dei rischi perché un qualsiasi regalo può essere rifiutato
nella totale indifferenza, ma chi è veramente disposto a mettere da parte se
stesso e compiere un gesto d’amore verso il prossimo senza nessun secondo fine?
Maria Giordano
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